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Mi arrendo

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Blurb

Singapore ha strappato un pezzo di Ava Thompson, e se l’è tenuto.

Un istante è stato sufficiente a stravolgerle l’esistenza e si è resa conto che il suo ex non era l’uomo che credeva fosse.

Tornare a Los Angeles non sarà facile, perché “il suo cuore è stato maciullato, masticato e risputato all’infinito”, ed è convinta che le ferite non si rimargineranno più.

O, forse, non è così.

Jasper White entra in scena.

Ava ignora che sarà lui, in realtà, a cambiare la sua vita per sempre.

L’attrazione tra loro è istantanea, ma Ava la rifugge perché non vuole più avere nulla a che fare con gli uomini. Resistere a Jasper, però – con quei capelli spettinati “da sesso” e quei penetranti occhi cerulei –, è molto più difficile di quel che immagina.

Perché Jasper sa quello che vuole… e vuole lei.

Riuscirà Ava ad arrendersi ai sentimenti che prova per l’uomo che le sta imponendo di riaprire il suo cuore e amare di nuovo? E se l’amore non fosse abbastanza?

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Chapter 1
1 Via, più veloce della luce «Signore e signori, il Capitano ha spento il segnale di mantenere le cinture allacciate, ora potete muovervi liberamente. A breve, il nostro personale di bordo vi offrirà bevande calde o fredde. Rilassatevi e godetevi il volo. Grazie». Do un'occhiata veloce al mio riflesso sul vetro dell'oblò. Ma è così che mi vedono gli altri? Una ragazza dagli occhi troppo grandi per il suo viso malinconico, e così minuta ed esile che i suoi piedi toccano a malapena il pavimento. Una ragazza che ride a ogni battuta, anche quando non capisce cosa ci sia da ridere. Una ragazza il cui cuore è stato maciullato, masticato e risputato all'infinito, così, per capriccio. Urca, e da quando sono così seria? Be', probabile da quando il mio ragazzo mi ha detto, coi suoi stupidi occhi azzurri, che non vede un futuro insieme a me. E ancora più stupida io che sono rimasta a guardarlo sbalordita pensando che fosse solo uno scherzo idiota. Infatti, stava proprio scherzando mentre mi lasciava lì impalata al bar, a farmi spingere a destra e sinistra da stupidi sconosciuti che volevano raggiungere la loro stupida destinazione, il bancone. Stupido! Stupido! Stupido! Rivivo i nostri ultimi momenti un milione di volte, e l'impatto è sempre lo stesso. Fa un male cane. E non so se smetterà mai. «Non ti amo più, Ava». Lo guardo senza parole, perché di sicuro ho capito male. Anche se, dallo sguardo distaccato, so che ho capito bene. «Cosa vuoi dire? Come fai a smettere così all'istante di amare qualcuno?», gli chiedo quando finalmente ritrovo la voce. «Succede sempre». Tutto qui? È tutto quello che ha da offrirmi? «Certo, agli altri, ma non a noi». Non sta accadendo davvero. Sto sognando di sicuro. Come può essere così calmo mentre io sto morendo dentro? Ma capisco che non è un sogno quando la sua unica risposta alla mia disperazione più totale è una spensierata alzata di spalle. Non riesco a credere che, dopo quattro anni insieme, mi molli così, con una semplice scrollata di spalle e una secca spiegazione del cazzo. Sta scherzando, perché questo tizio che assomiglia al mio ragazzo non è di certo lui. Il mio compagno di quattro anni non mi sta di fronte, a debita distanza, mentre mi spacca il cuore in un milione di minuscoli pezzettini. Si abbassa per darmi un bacio veloce e freddo sulla fronte. «Addio, Ava». «Addio? Cosa? Cioè, lo stai facendo adesso? Qui?», gli chiedo allibita guardandomi intorno. «In un bar mentre c'è il karaoke? Fammi capire, non vieni a casa con me per cercare di sistemare le cose?». «Non capisco a che pro, Ava. Non c'è nulla da sistemare. Non posso stare con qualcuno che non ha degli obiettivi di vita». Mio Dio, è così piatto e pragmatico! Il suo viso perfetto e i suoi capelli perfetti mi hanno appena insultata in modo decisamente imperfetto. Non ho obiettivi di vita. Ma dice sul serio? Ne avevo eccome di obiettivi, ma li ho buttati nel cesso perché lo amo. «M-ma…», balbetto. Mi zittisce prima che riesca a supplicarlo di cambiare idea. «Senti, tornatene a casa e dimentica che siamo mai esistiti». Sono davvero le sue parole di addio, queste? Gira le spalle e se ne va così, senza voltarsi, come se non fossi mai esistita, mentre io mi sento morire. Fisso le luci fluorescenti del bar in stato catatonico, domandandomi che cosa sia appena successo. Ti ha mollata in un cazzo di bar durante il karaoke! Ecco cos'è successo, mi rispondo, affogando in un mare di lacrime che non credo si fermeranno più. In sottofondo, uno dei fedeli seguaci del karaoke canta felice una canzone. È Back to Black di Amy Winehouse e crollo del tutto ascoltando le parole. L'ironia della vita mi ha appena mollato un gran ceffone, e anche a me pare proprio di essere "morta cento volte". I ricordi sono ancora così vivi, e mi domando come io sia riuscita ad arrivare fino a qui. Be', devo ancora sopportare un inferno di diciassette ore e venti minuti, e per inferno mi riferisco all'essere stipata in questo aereo pieno di bambini urlanti, adolescenti lamentosi e adulti imbronciati. Osservo il bimbo piangente che sporge dalle spalle della madre di fronte a me. Si guarda intorno smarrito e confuso… ehi, piccoletto, siamo in due. Sua madre gli sta massaggiando la schiena per consolarlo. Anch'io vorrei tanto che ci fosse qualcuno a rassicurarmi che andrà tutto bene, perché questo è davvero l'inferno. Ma la parte peggiore di tutto questo è essere intrappolata nella mia mente, nei miei pensieri, senza una via di fuga. Non c'è nessun posto dove possa correre, nascondermi, piangere. Oddio, aiuto… Alzo il braccio e chiamo una hostess. «Cosa posso fare, signorina?», mi chiede in modo brusco mentre si sta scopando con gli occhi un tipo seduto due file davanti a me. Osservandola più da vicino, mi domando perché si imbratti la faccia con tutto quel trucco. Poi, guardandomi intorno, noto che tutto il personale di volo ha strati di quella porcheria addosso. A quanto pare, il fake è la nuova moda. Ma in fondo cosa ne so io, che non sono di certo un guru della moda. Di rado mi trucco, e quando lo faccio neanche si vede da quanto è naturale e leggero. Le rare volte che mi sono impegnata con fondotinta, mascara e ombretto, l'ho fatto solo perché sapevo che a lui piaceva. Sì, gli piaceva quando mi mettevo in ghingheri, vestita come tutte le mogli e fidanzate degli uomini di successo. In fondo, quello era ciò che voleva diventare, no? Ho fatto molte cose per fargli piacere. Peccato che non abbia mai ricambiato il favore. «Signorina?». Oh merda, ecco, sono ripiombata nel luogo felice dove io e Stupidi Occhi Azzurri non ci siamo mai incontrati. «Mmm… mi scusi. Vorrei un bitter con limone e lime». E di nuovo sbucano gli stupidi occhi azzurri, perché era quello che beveva lui di solito. E se devo dirla tutta, io odio il bitter con limone e lime, come odio i suoi stupidi occhi azzurri. Prima di sembrare una perfetta idiota, mi correggo: «Scusi, ho cambiato idea, mi può portare una vodka?». «Con?», chiede secca la Barbie parlante. «Con?», rispondo un po' confusa. Io non parlo la lingua delle Barbie. Nota il mio smarrimento e chiede: «Con cosa, signorina? Lampone? Succo d'arancia?», e fa un gesto impaziente con le mani, come a dire che la lista di cose che vanno con la vodka è lunga. Do di nuovo un'occhiata al mio riflesso abbacchiato sul vetro dell'oblò. Mamma mia, sembro la morte, o meglio, la morte investita da un rullo compressore. «Liscia, grazie. Anzi, la faccia doppia, va'». Gira i tacchi, per nulla impressionata dal mio ovvio alcolismo alle 7:30 del mattino. Ehi, bambola, non giudicarmi. Anche tu annegheresti i tuoi dispiaceri nell'alcol, se il tuo cuore fosse stato strappato in mille pezzi solo poche ore fa. Senza dubbio… questo sarà un luuuuungo viaggio. *** "Signore e signori, stiamo per preparaci all'atterraggio. Vi invitiamo a controllare che il tavolino di fronte a voi sia chiuso, che il sedile sia in posizione eretta, che i bagagli siano stivati sotto i sedili o negli appositi vani in alto. Vi invitiamo, inoltre, ad allacciare le cinture di sicurezza e spegnere tutti i dispositivi elettronici da questo momento fino alla riapertura delle porte. Grazie". Esco dal semi-coma con un sobbalzo e guardo il tavolino di fronte a me. Oh cazzo, ma ho bevuto tutta quella roba lì? Visti i resti di bicchieri di plastica, direi proprio di sì. Okay, alzo le mani. Chi è una patetica perdente colossale? La hostess Barbie si schiarisce la voce per la millesima volta. «Mi passa i suoi rifiuti, signorina, per cortesia?». La parola rifiuti letteralmente sottintende: "Ehi bella, passami le prove del tuo alcolismo e porta alla svelta il tuo culo fuori dal mio aereo, che devo togliermi il trucco con lo scalpello." Le passo i numerosi bicchieri con una certa vergogna. "Benvenuti a Los Angeles, dove sono le nove del mattino. Da parte di tutto il personale di volo, grazie per aver volato con noi oggi." Dopo un'eternità di gente che abbandona l'aereo, riesco finalmente e mettere piede sulla mia Terra Madre. Vivo a Singapore con lui da oltre un anno. L'ho seguito per rincorrere il suo sogno di diventare uno dei pezzi grossi di una compagnia multimilionaria rinomata in tutto il mondo. Non devo pensare a lui. Non devo pensare a lui. Mi ripeto come un mantra. Sono a casa, ora. Addio grandi occhi azzurri, addio risata che mi faceva sorridere sempre, addio tartaruga scolpita. Bleah! Addio e basta. Cazzo! Che liberazione! Sono persa nei pensieri dopo questo viaggio estenuante. Voglio solo collassare a corpo morto e ibernarmi per una settimana. «Ava!». Sento il mio nome mentre mi giro intorno con lo sguardo. «Ava!». Tra la folla, ecco che vedo farsi largo a spintoni una testa castana che rimbalza su e giù, come se con il suo metro e sessantacinque potesse abbattere ogni uomo che incontra pur di dare il benvenuto alla sua migliore amica che torna a casa. Con rammarico, penso che per il momento dovrò accantonare il mio progetto di ibernazione. «Ava! Oddio!», strilla saltandomi addosso e gettandomi al collo le sue piccole braccia tatuate. Ricambio l'abbraccio in maniera un po' goffa perché ho le mani piene di bagagli. Mi è mancata tanto Vi, ma già temo la sua prossima domanda. Perché deve essere così ficcanaso? Perché, se non fosse curiosa, non sarebbe la mia Veronica. Questo, infatti, è uno dei motivi per cui l'adoro. «Ava, scusa, non che la cosa mi preoccupi particolarmente, ma non stai viaggiando un po' troppo leggera?». Inarco il sopracciglio, fingo di non capire, perché forse se faccio finta che lui non sia mai esistito, lei smetterà di fare domande a cui non sono pronta a rispondere. Mi sbaglio, ovvio. Ridendo, guarda dietro di me e poi di nuovo me. «Quindi devo essere schietta! Dov'è il tuo egocentrico e noiosissimo fidanzato Harper?». Oh, mamma! Anche il suo nome suona così stupido! «Mmm, riguardo a questo…», esito a disagio. In fondo, perché no? Potrei dire alla mia amica di una vita che il mio ragazzo, l'uomo per cui ho lasciato la mia casa e che ho seguito in un paese straniero, mi ha scaricata solamente quarantotto ore fa in un bar che faceva karaoke. Merda! Il rigurgito di parole sta risalendo vendicativo. Lo ricaccio giù e sospiro. Le do la migliore spiegazione che posso, dopo il volo snervante annaffiato da dosi doppie di vodka. «Non è venuto». Mi fissa preoccupata e la sua bocca forma una 'O' perfetta. Già. Ha capito. Non le ci è voluto tanto, e questo è un altro motivo per cui amo questa ragazza. Mi legge dentro senza bisogno che dica nulla. Tuttavia, la mia espressione di morte potrebbe essere un indizio perfetto sul perché Harper, lo stronzo, non è con me. Apre la bocca per fare mille e una domanda a cui non ho alcuna voglia di rispondere. Prima che inizi l'interrogatorio, alzo un dito per zittirla. «Vi, davvero, voglio solo andarmene a casa. Prometto che ti dirò tutto quando non sarò in abiti bagnati di lacrime e vodka». Vi annuisce, capendo che la mia storia non è da condividere in un aeroporto affollato e rumoroso. Afferra la mia borsa e se la mette in spalla, regalandomi un sorriso che vale un milione di parole. Cazzo, quanto amo questa donna.

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