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Il dolore.

Ci ferisce. Ci spinge ai limiti. Ci punisce.

Oppure, per le anime miserabili come me, ci definisce.

Non sono una brava persona.

Non ho delle qualità che possano redimermi, non più. Quelle che avevo, le ho donate al diavolo la notte in cui è cambiata ogni cosa.

La notte in cui la mia sorellina è morta.

La notte in cui ho ucciso il suo assassino.

Sì, ho tolto una vita e lo rifarei ancora, senza pensarci due volte.

E mai e poi mai avrei provato un briciolo di rimorso per essere ciò che sono.

Poi, è arrivata lei.

Mi chiamo Jackson Reid. Ci sono due cose che dovete sapere di me. La prima: sono innamorato di Alyssa Tanner.

La seconda: sono un assassino.

***

Mi chiamo Alyssa Tanner, ma è probabile che mi conosciate come la sgualdrina che ha fatto perdere al suo patrigno le elezioni a sindaco di New York.

E avreste ragione, perché il giorno in cui il mondo mi ha etichettata come puttana, ho deciso che lo sarei diventata davvero.

Pensate di conoscere tutto di me perché mi avete visto nuda.

Credetemi, non avete nemmeno scalfito la superficie.

Quello che non conoscete è il mio passato, perché sono stata costretta a tenerlo segreto per la mia stessa sicurezza.

Quello che non conoscete è il mio dolore.

Perché se lo conosceste, sareste morti.

Scommetto che pensate di sapere come si dipanerà questa storia...

Fidatevi, non ne avete proprio idea.

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Prologo Il dolore. Ci ferisce. Ci spinge ai limiti. Ci punisce. Oppure, per le anime miserabili come me, ci definisce. Non sono una brava persona. Non ho delle qualità che possano redimermi, non più. Quelle che avevo, le ho donate al diavolo la notte in cui è cambiata ogni cosa. La notte in cui la mia sorellina è morta. La notte in cui ho ucciso il suo assassino. Sì, ho tolto una vita e lo rifarei ancora, senza pensarci due volte. Sono cresciuto a Boston e sono sempre stato un ragazzino come tanti, che si impegnava alacremente per sfondare nel mondo professionale dell’MMA. Mia madre passò a miglior vita per un’overdose di eroina quando avevo diciotto anni e mio padre, be’, se sapete dove si trovi, date da parte mia, a quel bastardo donatore di sperma, un grosso “vaffanculo”. Si può affermare che Lilly fosse l’unica famiglia che avessi. Era più giovane di me di quattro anni e passavo gran parte della mia vita a proteggerla o a lamentarmi di quanto fosse irritante. Dopo la morte di nostra madre, fummo solo io e lei. Ma chi voglio prendere in giro? Eravamo stati solo io e lei fin dal primo giorno. La morte di nostra madre non aveva cambiato nulla e, infatti, la scuola di Lilly non aveva fatto problemi quando avevo cominciato a occuparmi io di tutte le incombenze genitoriali. E poi, ecco l’errore del cazzo! Permisi al mio migliore amico di frequentare la mia sorellina. Anche Mike si allenava per diventare un lottatore professionista di MMA. Eravamo cresciuti tutti insieme e un giorno l’avevo scoperto a puntare gli occhi su Lilly; o meglio, avevo scoperto Lilly che gli faceva gli occhi dolci. Naturalmente, avevo messo fine alla cosa sul nascere, quando lei aveva quattordici anni. Nei quattro anni successivi, non avevano fatto altro che guardarsi con gli occhi a forma di cuore, ma a parte quello eravamo come i tre moschettieri. Lilly assisteva anche ai nostri allenamenti: diciamo che era un po’ la nostra cheerleader personale. Vedevo i suoi innocenti occhi blu e i riccioli biondo-ramati fare il tifo per noi, ogni singola volta. Il giorno del suo diciottesimo compleanno cedetti. «Sono innamorato di tua sorella e giuro su Dio che un giorno la sposerò» disse Mike, facendomi andare di traverso la birra. Prima che avessi il tempo di stenderlo con un pugno o anche solo di protestare, la figura minuta di Lilly, nel suo metro e cinquantacinque di altezza, si fiondò nella stanza, atterrando proprio di fianco a Mike. Gli afferrò la mano e alzò gli occhi su di me: «Io lo amo, Jackson.» Grugnii e scolai quanto rimaneva della mia birra, prima di protendermi in avanti e afferrare Mike per le spalle. «Vieni fuori. Adesso.» Lui lasciò andare la mano di Lilly e mi seguì in veranda. Il legno del vecchio dondolo scricchiolò sotto il nostro peso, quando ci sedemmo. «Tu hai ventidue anni e lei diciotto.» Lui scoppiò a ridere. «Lo so. Ma la differenza d’età non è più così tanta, specialmente ora che è maggiorenne.» Mike si mise a fissare le sue scarpe. «E poi la amo da quando ne aveva quattordici.» Sentii lo stomaco che si contorceva e strinsi le mani a pugno. «È disgustoso.» Mike sollevò gli occhi al cielo. «Ovviamente non ho mai fatto nulla con lei, stronzo» disse. «Non è così tra noi. C’è molto più del sesso.» A quelle parole, tutto il mio corpo si irrigidì e mi alzai in piedi. Ero a un passo dallo spaccargli la faccia, quando aggiunse ad alta voce: «Cosa che non abbiamo ancora fatto, lo giuro!» Entrambi sospirammo di sollievo. «Ascolta, so che passerò il resto della mia vita con lei. Ora la questione è se tu sarai felice per noi e ci sosterrai, o se arriveremo a fare a botte e rovineremo un’amicizia per questo. Senza contare che, probabilmente, rovineresti anche il tuo rapporto con tua sorella.» Scossi la testa. «Sei un coglione del cazzo.» Mi rivolse un sorriso ironico. «No, non lo sono, Jackson. Se lo fossi, mi avresti già spaccato il culo. Sai che sono un bravo ragazzo. Sono il tuo migliore amico, per la miseria!» Incrociai le braccia sul petto. «Falle del male e sei morto. Mettila incinta prima dei trenta e sei morto. Se la tradisci, sei morto. Se la fai piangere... sei morto.» Mi guardò dritto negli occhi. «Se dovessi mai fare una sola di quelle cose, be’, non vorrei comunque più continuare a vivere.» Fece una pausa. «Quindi, significa che abbiamo la tua benedizione?» Annuii con poca convinzione, mentre sentivo Lilly precipitarsi fuori dalla porta d’ingresso. Il suo sorriso era contagioso e le brillavano gli occhi. Mi abbracciò, stringendomi più forte di quanto non avesse mai fatto. «Ti voglio bene, fratellone, questo è il più bel compleanno di sempre!» Sospirai e ricambiai il suo abbraccio. *** Per due anni, Mike mantenne la promessa. La trattava come una regina e io non avevo mai visto Lilly più felice. Mike e io continuavamo ad allenarci duramente, cercando di farci strada nel mondo dell’mma. Frequentavamo una delle migliori palestre e avevamo un allenatore pronto a giurare che fossimo a un passo dal fare il grande salto. Aveva ragione: Mike era sul punto di siglare un accordo con uno degli sponsor più importanti, e anche io stavo per firmare un contratto di quel genere. Il mio primo combattimento da professionista era programmato di lì a una settimana. A quasi ventiquattro anni, i miei sogni stavano finalmente per realizzarsi. Ero così preso e perso nel mio mondo che non notai mai i segnali. Non notai quando gli innocenti occhi blu di mia sorella persero la loro luce. Non notai quando la sua personalità vivace cambiò. Quasi non notai quando smise di venire ai nostri allenamenti. «Che mi dici di mia sorella? Non la sento da due settimane e ultimamente non si è fatta vedere qui... come mai?» chiesi a Mike mentre raggiungevamo lo spogliatoio, dopo un allenamento. Mike scrollò le spalle. «Non lo so, negli ultimi tempi sta studiando tantissimo. Penso che oggi volesse andare a fare shopping. Ha detto qualcosa sul fatto di voler comprare un vestito nuovo per il grande incontro della settimana prossima.» Scoppiai a ridere. «Be’, direi che è comprensibile. Il suo ragazzo e suo fratello combatteranno da professionisti per la prima volta, nella stessa serata.» Sapevo che Lilly non avrebbe perso quel combattimento per niente al mondo, a prescindere dall’intensa mole di lavoro del suo corso di studi ad Harvard. Mike abbassò lo sguardo e io lo osservai mentre spostava il peso da un piede all’altro. «Già...» Qualcosa non andava. Gli posai una mano sulla spalla. «Cosa c’è?» Si liberò della mia mano con una scrollata di spalle e s’incamminò verso le docce. «Sono solo un po’ nervoso, tutto qui» disse a voce alta. Finii di fare la doccia prima di lui. Ritornai verso i nostri armadietti e mi preparai per vestirmi. Mike aveva stupidamente lasciato il suo armadietto mezzo aperto e fu allora che lo vidi: un flaconcino senza alcuna etichetta, insieme a una siringa. Non ci voleva un genio per capire di cosa si trattava: steroidi. Presi il flacone dal suo armadietto e aspettai che uscisse dalla doccia. «Mike, che cazzo stai facendo?» urlai. «Stai cercando di rovinarti la carriera prima ancora che cominci?» Si guardò intorno nello spogliatoio. «Abbassa la voce, cazzo. E se ti sente l’allenatore?» sibilò, mentre si allungava per prendere il contenitore. Indietreggiai. «Dovrai passare sul mio cadavere. Non lascerò che rovini tutto ciò per cui hai lavorato così duramente. Che cazzo di problema hai? Non avrei mai pensato che potessi fare una cosa del genere!» Mike sferrò un pugno all’armadietto che aveva di fianco. «Li usano tutti nel professionismo, Jackson. Smetterò dopo che avrò vinto i prossimi incontri... È solo quanto basta per farmi diventare qualcuno.» «Sei un idiota! Stai per firmare un contratto con un grosso sponsor! Pensi che non ti testeranno per vedere se fai uso di steroidi? E, cosa ancora più importante, stai rovinando l’integrità dello sport. Di tutto lo sport. Dovrebbe essere la passione a scorrerti nelle vene non questa... merda.» «Senti, alcuni di noi non ce l’hanno nel sangue come te. Alcuni di noi, ogni tanto, hanno bisogno di un aiutino. E non sono di certo l’unico atleta ad averli provati. Lo fa la maggioranza. È solo una cosina per tirarsi un po’ su.» Scossi la testa e lo fissai. «Questa non è una cosina per “tirarsi su”, questo schifo ti farà precipitare nella merda. Allenati meglio, lavora di più, ma non usare questa roba.» Mike sospirò e si lasciò cadere sulla panca. «Hai ragione. Ho fatto una cazzata. Sono così nervoso e dubito di me stesso. Non voglio perdere.» Mi sedetti di fianco a lui. «Lo capisco. Cosa ti fa credere che io non mi senta allo stesso modo? Questa è un’occasione enorme per noi ed è normale essere agitati. Usa quello stress come un carburante positivo. Questa merda ti rovinerà la vita.» Lui annuì. «Ti prego, non dire niente a Lilly di questo.» «Non lo farò. Inoltre, se lo sapesse, l’incontro della prossima settimana sarebbe l’ultima delle tue preoccupazioni. Sono sicuro che te ne darebbe tante che non saresti in grado di allenarti per settimane.» Mike sorrise e cominciò a cambiarsi. «Già, hai proprio ragione. Dio, quanto amo quella donna.» *** Sangue. Così tanto sangue. Dappertutto. È una delle cose che ricordo più chiaramente di quella fatidica notte. Ancora oggi, se chiudo gli occhi, ricordo ogni singola superficie imbrattata dal sangue. Percepisco ancora l’odore metallico che mi aggrediva le narici; rivedo il modo in cui il sangue striava le pareti, come formava una pozza sul pavimento; rivedo la grossa impronta insanguinata di una mano sul muro. La notte in cui il mio mondo intero cambiò, fu anche la notte del grande incontro. Avevo vinto. Era stato un combattimento alla pari e avevo rischiato il tutto per tutto, come se la mia vita fosse dipesa da quello. Il mio avversario era finito al tappeto dopo un forte uppercut al mento che l’aveva fatto barcollare, seguito da un calcio a martello che era stato il colpo di grazia. Avevo guardato tra la folla, aspettandomi di vedere il volto sorridente di Lilly, ma lei non c’era. E, cosa ancora più allarmante, Mike non si era presentato per il suo incontro. Un tizio di nome Tyrone aveva finito per prendere il suo posto e aveva vinto, dopo tre minuti passati a colpire l’avversario con una violenza incredibile, mentre questi era a terra. Un attacco così brutale in grado di farmi trasalire, nel vederlo. Qualcosa però non andava, me lo sentivo nelle ossa. Uscii dall’arena, provando ripetutamente a mettermi in contatto con loro. Salii sul mio pick-up diretto verso il loro appartamento e, quando entrai, dovetti fare un passo indietro: nemmeno il mio peggior incubo avrebbe potuto mettere in scena ciò che mi attendeva oltre la porta. Tutto parve muoversi al rallentatore, mentre cercavo di assimilare ed elaborare ciò che stavo vedendo. La prima cosa che notai fu la grande impronta di una mano insanguinata, che si stagliava sulla bianca parete spoglia della loro piccola cucina. Abbassai gli occhi e il cuore mi si strinse in una morsa quando vidi la grossa pozza di sangue sul pavimento. Si estendeva e girava l’angolo che portava verso il soggiorno. Non volevo sapere da dove provenisse, ma non avevo scelta: dovevo scoprirlo. Chiusi gli occhi e azzardai qualche passo in avanti, finché non girai l’angolo. Là, sul pavimento di fianco al divano, il mio cuore si sgretolò in polvere e il mio mondo, per come lo conoscevo, smise di esistere. La mia giovane e fragile sorellina giaceva pallida e senza vita dinanzi a me. La sua maglietta era strappata e il suo delicato corpo esanime era ricoperto dai lividi. Quell’immagine mi perseguita ancora nei miei momenti più bui. Mi accasciai di fianco a lei, pregando che si svegliasse. Come potevano averle fatto questo? La mia sorellina innocente. La persona migliore che avessi mai conosciuto. La scossi, urlai il suo nome, supplicai e pregai come mai avevo fatto prima in tutta la mia vita. «Chi ha potuto farti questo, Lilly?» sussurrai, mentre la tenevo stretta a me. «Coraggio, sorellina, svegliati. Ti prego» continuai a implorare, mentre sentivo le prime lacrime cominciare a scorrere sulle guance. La mia mente si scatenò e, in quel frangente, immaginai una dozzina di scenari diversi. Qualunque cosa, dal ladro a un ammiratore segreto dell’università a cui era iscritta, fino allo spacciatore di droga che era entrato nella casa sbagliata in cerca del denaro che qualcuno gli doveva. Mike. Dove diavolo era? Merda, magari chi aveva fatto questo stava tenendo Mike in ostaggio da qualche parte?

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